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HEAR

di Sergio Fermariello

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Migliaia di guerrieri, combattenti armati di scudo e lancia - segno inconfondibile dell’opera di Sergio Fermariello che ha fatto dell’astrazione segnica e della scrittura per immagini una cifra stilistica declinata nel tempo e nello spazio come un mantra, come una coazione a ripetere, come un’ossessione - tornano ad imbracciare le loro armi e le loro paure in (H)EAR la mostra site specific che inaugura sabato 3 ottobre alle ore 10.00 presso la Fondazione Made in Cloister. Sulle mura cinquecentesche del chiostro di Santa Caterina a Formiello, la figura originaria del guerriero che si batte per vivere, contrastando con le sue armi di difesa e attacco tanto i pericoli del mondo esterno quanto le sue stesse trappole, si rinvigorisce di un impeto che rimanda all’origine dell’uomo e del suo gesto primigenio di rappresentazione del sé. Sulla parete frontale del chiostro, a tagliarne trasversalmente gli archi di pietra, sette lastre in tela su legno, strette e lunghe come lische, vedono i guerrieri sfumare in una gradazione di colori che inizia in blu e finisce in arancio, creando una cartina di tornasole che testimonia il passaggio temporale dal ghiaccio del passato dell’uomo e della natura al presente del riscaldamento globale e dell’accelerazione della modernità. Al centro del chiostro invece si staglia un campo di grano. 25 lastre in ferro, un travertino bucato, formano un quadrato di 4 metri su cui si muovono e dondolano, gentilmente mosse da un soffio di aria, come un alito di vento, 6000 steli in ottone, le cui spighe, in cima, sono costituite da altrettanti piccoli orecchi. Un riferimento a van Gogh, a quello che Sergio Fermariello definisce il gesto estremo e cristico del taglio dell’orecchio: ear in inglese è infatti orecchio e spiga, in un legame intimo e potente che sceglie l’arte sempre nella sua possibilità di smarginamento, di follia salvifica, di deragliamento illuminato. Ma l’ampliamento semantico di ear include anche sempre dall’inglese, hear, ascoltare. Ed è in fondo un invito all’ascolto quello che l’orecchio sensibile dell’artista ci rivolge: ascoltare il tempo, le sue mutazioni, attraversare il buio e la ferocia di una pandemia che ha messo l’umanità dinanzi al bivio tra vita e morte, tra cambiamento e distruzione. Sulla parete opposta, a chiudere il campo di grano, altri guerrieri, questa volta forati. Un esercito di circa un migliaio fora la tela restituendole parola, non pittura come belletto, ma verità e voce per questi guerrieri che fanno parlare la materia su cui vivono. In (H)EAR Il guerriero-icona di Sergio Fermariello torna prepotente come monito e insieme come orizzonte a ricordarci da dove veniamo, con cosa combattiamo e dove possiamo arrivare con la nostra lancia e il nostro scudo.

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